Victor Hugo, poema sul Profeta Muhammad ﷺ
Poema del grande poeta francese Victor Hugo dedicato alla figura del Profeta Muhammad ﷺ, e che mostra come il celebre autore francese dell’Ottocento fosse a conoscenza di molti dettagli del vita del Profeta dell’islam ﷺ. Il poema è contenuto nell’opera “La Légende des siècles” ed è intitolato “L’an neuf de l’Hégire”, composto il 15 gennaio 1858.
- Poiché presentiva la sua ora vicina,
- Grave, non rimproverava più nessuno;
- Camminava e rendeva il saluto ai passanti;
- Lo si vedeva invecchiar ogni giorno, anche se non aveva
- Che venti peli bianchi nella barba ancora nera;
- A volte si fermava a veder bere i cammelli,
- E ricordava di quando anche lui era cammelliere.
- Sembrava aver visto l’Eden, l’età dell’amore,
- I tempi anteriori, l’era immemoriale.
- Aveva la fronte alta, la guancia imperiale
- Il sopracciglio calvo, l’occhio profondo e diligente,
- Il collo come di un’anfora d’argento,
- L’aria di un Noè che sa il segreto del diluvio.
- Se degli uomini venivano a consultarlo, quel giudice
- Lasciando che uno affermasse, e l’altro ridesse e negasse,
- Ascoltava in silenzio e parlava per ultimo.
- Era sempre sul punto di dire una preghiera;
- Mangiava poco, mettendo sul ventre una pietra;
- Lui stesso s’occupava di condurre le pecore;
- Si sedeva a terra e cuciva le sue vesti.
- Nei giorni di digiuno, digiunava più a lungo di ogni altro,
- Pur perdendo forza e non essendo più giovane.
- A sessantatré anni, una febbre lo colse.
- Rilesse il Corano scritto di suo pugno,
- Poi rimise ai figli di Seid il drappo,
- Dicendo loro: «Sono giunto all’ultima delle mie albe,
- Non c’è altro Dio all’infuori di Dio. Combatti per lui.»
- Il suo occhio era velato d’ombra e cupo di noia, come
- Di una vecchia aquila che deve abbandonare il cielo.
- Andò in moschea all’ora abituale,
- Appoggiandosi ad Alì. Il popolo lo seguiva;
- E lo stendardo sacro si spiegava al vento.
- Là, pallido, gridò, e si rivolse alla folla:
- «Popolo, il giorno si spegne, l’uomo passa e scorre;
- Noi siamo la polvere e la notte. Dio solo è grande.
- Popolo, io sono il cieco e io sono l’ignorante.
- Senza Dio sarei vile, più della bestia immonda.»
- Uno sceicco gli disse: «Capo dei veri credenti, tutti,
- Non appena ti ascoltarono, hanno creduto alla tua parola!
- Il giorno in cui sei nato spuntò una stella,
- E tre torri del palazzo di Cosroe caddero.»
- Lui riprese: «Sono gli angeli a deliberare sulla mia morte;
- L’ora sopraggiunge. Ascoltate. Se ho parlato male
- Di uno di voi, si alzi in piedi, oh popolo, e davanti a tutti
- Mi insulti e mi oltraggi prima che io sfugga;
- Se ho colpito qualcuno, anche lui mi colpisca.
- E, tranquillo, tese ai passanti il suo bastone.
- Una vecchia, che tosava la lana d’un montone
- Seduta su una soglia, gli gridò: «Dio ti assista!»
- Sembrava guardare una qualche visione triste,
- E meditava; d’improvviso, pensoso, disse: «Ecco,
- Voi tutti: sono una parola nella bocca di Allah;
- Sono cenere come uomo e come profeta, fuoco.
- Ho completato la luce imperfetta d’Issa.
- Sono la forza, fanciulli; Gesù fu la dolcezza.
- Il sole ha sempre un’alba che lo precede.
- Gesù mi ha preceduto, ma non è la Causa.
- E’ nato da una vergine che odorava una rosa.
- Ricordatelo: come essere vivente
- Non son che un limone annerito dai vizi;
- Ho subito lo strano approccio di ogni peccato;
- La mia carne ha più affronto che fango un cammino,
- E il mio corpo è tutto disonorato dal male;
- Oh voi tutti, sarò ben presto divorato
- Se nell’oscurità della bara solitaria
- Ogni colpa dell’uomo genera un verme di terra.
- Figliuoli, infondo alla fredda fossa il dannato rinasce,
- Per esser di nuovo divorato dai vermi;
- La carne rivive sempre, finché la pena,
- Finita, apre al suo volo l’immensità serena.
- Figliuoli, sono il vile campo di sublimi combattimenti
- Uomo tanto d’altezze, che di bassezze,
- E nella mia bocca il male si alterna con il bene
- Come nel deserto la sabbia e la cisterna;
- Ma ciò non impedisce, oh credenti, che io abbia
- Tenuto testa nell’ombra agli spaventosi angeli
- Che vorrebbero ripiombare l’uomo nelle tenebre!
- A volte ho ritorto nei miei pugni le loro braccia funeree;
- Spesso, come Giacobbe, di notte ho lottato,
- Passo a passo, contro qualcuno che non vedevo affatto;
- Ma soprattutto gli uomini hanno fatto sanguinar la mia vita;
- Su di me gettarono il loro odio e la loro invidia,
- Ed io, che sentivo in me la verità,
- Li ho combattuti, ma senza essere irato;
- E, durante lotta, gridavo: «Lasciate fare!
- Sono solo, nudo, sanguinante, ferito; così preferisco.
- Che tutti mi colpiscano! Che tutto gli sia permesso!
- Girandomi intorno, nella stretta via, per attaccarmi,
- I miei nemici avranno ad ogni modo
- Il sole alla loro sinistra e la luna a destra,
- Non mi faranno per nulla indietreggiare!»
- Ed è così Che dopo aver lottato quarant’anni, eccomi giunto
- Sul bordo della tomba profonda:
- Ho Dio di fronte a me, e dietro di me il mondo.
- Quanto a voi che mi avete seguito in questa prova,
- Come i greci Ermes e gli ebrei Levi,
- Avete sì sofferto, ma vedrete l’aurora.
- Dopo la fredda notte, vedrete schiudersi l’alba;
- Popolo, non ne dubitate: colui che prodiga
- I leoni nei dirupi di Jebel Kronnega,
- Le perle in mare e gli astri nell’ombra,
- Può ben dare un po’ di gioia all’uomo cupo.»
- E aggiunse: «Credete, vegliate; abbassate la fronte.
- Coloro che non sono né buoni né cattivi resteranno
- Sul muro che separa l’Eden dall’abisso:
- Sono troppo neri per Dio, ma troppo bianchi per il crimine;
- Non c’è nessuno così libero dai peccati
- Da non meritare un castigo; cercate,
- Pregando, di toccare la terra con tutto il vostro corpo;
- L’inferno brucerà nel suo mistero fatale
- Solo colui che non ha toccato mai la cenere, e Dio
- A chi bacia la terra oscura, apre un cielo azzurro;
- Siate ospitali; siate santi; siate giusti;
- Lassù stanno i frutti puri negli alberi augusti;
- I cavalli dalle selle d’oro, e, per fuggire ai sette cieli,
- I carri viventi con fulmini come assali;
- Ogni odalisca celeste, serena, incorruttibile, felice,
- Abita un padiglione fatto d’una perla cava Gehenna attende i reprobi; disgrazia!
- Avranno scarpe di fuoco il cui calore
- Farà ardere le loro teste come una caldaia.
- La faccia degli eletti sarà seducente e fiera.»
- Si fermò e ascoltò il suo spirito.
- Poi, continuando il cammino a passi lenti, riprese:
- «Oh viventi, ripeto a tutti ch’è giunta l’ora
- In cui mi occulterò in altra dimora!
- Sbrigatevi dunque. Il momento è giunto, bisogna
- Che io sia denunciato da chi mi ha conosciuto:
- Se ho dei torti, che mi si sputi in faccia.»
- La folla si faceva da parte al suo passaggio, muta.
- Si lavò la barba ai pozzi d’Abulfeia.
- Un uomo reclamò tre dracme, che egli pagò
- Dicendo: «Meglio pagar qui che nella tomba.»
- L’occhio del popolo era dolce come un occhio di colomba
- Mentre guardava quell’uomo augusto, suo sostegno;
- Tutti piangevano; quando, più tardi, fece ritorno a casa,
- Molti si trattennero li vicino, senza chiudere occhio;
- E passarono la notte sdraiati su una pietra.
- L’indomani mattina, vedendo l’alba arrivare:
- «Abubekre, disse, non mi posso alzare,
- Va’, prendi il libro e recita la preghiera.»
- E sua moglie Aischa se ne stava in disparte;
- Lui ascoltava mentre Abubekre leggeva,
- E spesso, a basa voce, concludeva il versetto;
- Tutti piangevano, mentre pregava a quel modo.
- L’angelo della morte apparve verso sera
- Alla porta, chiedendo che lo si facesse entrare.
- «Che entri.» Si vide allora che lo sguardo gli si illuminava
- Di quella stessa luce del giorno in cui nacque;
- E l’angelo gli disse: «Dio desidera la tua presenza.
- Bene», rispose. Un brivido corse sulle sue tempie,
- Un soffio aprì le sue labbra, e Maometto spirò.