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La difficoltà di parlare di Dio in una società che pensa di non averne bisogno

Fethi Mahmoudi

«Dio è morto! Dio rimane morto! E siamo stati noi a ucciderlo!» Così parlò Zarathustra, nelle opere di Friedrich Nietzsche, rilevando, alla fine del XIX secolo, la scristianizzazione delle società europee a seguito della rivoluzione industriale e la profonda trasformazione degli stili di vita (organizzazione del lavoro e delle classi sociali, urbanizzazione massiccia, produttività e consumo). «Come possiamo consolarci, noi assassini di tutti gli assassini? Ciò che il mondo possedeva di più santo e possente, si è dissanguato sotto i nostri coltelli.» continuava egli.

«Dio è morto!» È una delle citazioni famose del filosofo tedesco che constatava il distacco dal fatto religioso in Europa e predicava una dottrina che non ammetteva alcun vincolo della società sull’individuo. Rifiutando così qualsiasi assoluto religioso, metafisico, morale o politico. L’uomo è un animale abitato da pulsioni interne che bisogna liberare per garantirgli la sua evoluzione e intensificare la sua vita fisica e sensoriale.

L’uomo non è altro che materia. Qualsiasi idea di un ideale stabilito dalle filosofie classiche o dalla religione cristiana deve essere fatto a pezzi per lasciare che l’uomo pensi liberamente. Questo è ciò che Friedrich Nietzsche chiama la volontà di potenza dell’uomo.

Questa osservazione della morte della religione condivisa da altri filosofi e sociologi dell’epoca (Hegel, Durkheim, …), lasciando vuoto il cielo delle società moderniste europee, annunciò la caduta della morale, degli antagonismi del bene e del male, della metafisica e delle norme cristiane. L’esistenza è diventata senza finalità alcuna. Sebbene egli possa osservare l’universo che lo circonda comporre un movimento armonioso e la natura un equilibrio meraviglioso, l’uomo vive, in mezzo a tutto ciò, un’esistenza assurda senza traiettoria e si dibatte comunque per “meglio esistere”.

Questa visione dell’epopea industriale, incoraggiata da una crescita delle conquiste tecnologiche, ha mantenuto le sue promesse in termini di liberazione ed emancipazione dell’uomo? Abbiamo noi raggiunto le vette di una società virtuosa in cui prosperano l’equità e la fratellanza? La strada per un futuro migliore per noi e i nostri figli non è ancora lunga? La natura ci ringrazia per i martiri – specie estinte – che le abbiamo inflitto? Non abbiamo noi smontato alcuni fondamenti annunciando un prossimo crollo? Non ci vorrebbe una bussola per uscire dal labirinto?

Questi interrogativi oggi puntano il dito sull’uomo e non più su Dio. Riabilitare l’uomo è riconciliarlo con se stesso (la sua interiorità spirituale che giace in lui assopita), con il suo entourage, il suo ambiente, il tempo che compone la sua vita e si accelera da troppe frivolezze, comunicazioni e informazioni. Questo lavoro su di sé di amnistia e di pacificazione, che richiede una determinazione, una presa di coscienza e un lungo respiro spirituale che nutra l’anima e rimetta in piedi l’uomo.

L’uomo non è più il produttore-consumatore-distruttore ma è la promessa di un mondo migliore. Egli diventa l’architetto del cambiamento globale che aspetta l’umanità verso una civiltà dell’amore e della saggezza. La sua vita non è più una traiettoria folle ma un viaggio armonioso, un cammino orientato sull’asse verticale della spiritualità e sull’asse orizzontale dell’amore, della bontà e della fratellanza. L’asse verticale della spiritualità lo porta alle sommità della conoscenza di sé che aprono alla conoscenza di Dio. La relazione pacata con se stessi e gli altri è il frutto di una relazione pacata con il Creatore. Non c’è più nessun intermediario tra l’uomo e Dio, ma degli ostacoli da superare tra cui l’ego, le passioni, l’avidità e molte altre patologie. Questo percorso pieno di insidie ​​non può essere fatto da soli. Richiede una buona compagnia che ha già percorso questo cammino, dotata di una profonda saggezza e un grande cuore. Sono gli eredi dei profeti, che con i loro grandi cuori hanno saputo preservare l’autenticità del messaggio che l’erosione dei secoli corrompe. Essi invitano alla conoscenza di Dio nel distacco. Essi non cercano alcun potere, titolo né notorietà. Essi sono nell’ombra ma la loro luce finisce per rivelarli. Questi uomini sono rari e non sono necessariamente dove ci si aspetta che siano.

Il materialismo, il razionalismo e l’individualismo suscitati dalla «morte di Dio» hanno solo esacerbato la violenza e la concentrazione di ricchezza e potere da parte di una minoranza che detta la norma all’umanità e ne impone il suo credo. Tutti gli dei sono davvero morti? Un dio che si nutre dei suoi sudditi e li rende schiavi è un dio condannato a morire lasciando un campo disastrato. Dire Dio attraverso il termine arabo La ilaha illa Allah, significa rinnegare tutti questi falsi dei (interni o esterni all’uomo) e prendere la strada di questa ascesa verso la realizzazione e la libertà (Ihsan).

È solo da molto in alto che si respira l’aria fresca, che la vista si schiarisce, che si superano gli ostacoli, che si rigettano tutte le forme di violenza e si resiste a tutte le forme ingiustizia, che la speranza e la fiducia sgorgano e la paura si dissipa. È da lì, molto in alto, che si trova la propria libertà e la propria emancipazione. È da lì che la visione di un ritorno verso l’Eterno diventa limpida, portandoci fuori dal labirinto e aprendo le prospettive dell’Ultima vita.

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