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Epidemia, comunità e speranza

Di Lahcen Guezam

La natura umana, per via del proprio istinto di sopravvivenza, è incline a dare grande rilevanza alla cronaca nera, probabilmente per riconoscere il nemico e non rischiare di farsi trovare impreparati. Benché le notizie negative creino allarmismo, è dall’alba dei tempi che le si divulga con un certo catastrofismo, invitando le popolazioni ad osservare il coprifuoco in caso di aggressioni. E questa che stiamo vivendo è una aggressione in piena regola che ci costringe a restare in casa in quanto è l’unico antidoto alla continua propagazione del virus.

Se per un membro di una comunità d’altri tempi, il bene della collettività viene prima di tutto, così non è per ‘l’individuo moderno’ che il sociologo tedesco Norbert Elias definisce come: “interamente libero e indipendente, in quanto ‘personalità chiusa’ che all’interno è interamente fondata su sé stessa e separata da tutti gli altri uomini”. Appare quindi un’impresa ardua e oltretutto paradossale parlare di e ad una “comunità di individui” in cui ognuno vive il proprio individualismo quasi come non dovesse rendere conto a nessuno delle proprie azioni, specie se si tratta di azioni e comportamenti che mettono a repentaglio la vita degli altri. 

L’epoca moderna – in particolare in occidente – è caratterizzata da un cinismo spaventoso, e i comportamenti di alcuni soggetti nei confronti delle disposizioni assunte per tutelare la collettività ne sono la prova lampante. L’atteggiamento di indifferenza e disprezzo nei confronti dei valori morali e sociali sta diventando una prassi. Sembra che l’unico modo per essere trasgressivi e anticonformisti sia quello di farsi da sé rinunciando a qualsivoglia guida politica, spirituale o intellettuale che sia. Niente di più folle.

Come rimedio all’egoismo, all’individualismo, alla disgregazione della umma, all’obsolescenza dei mezzi monastici dimissionari e alla natura stessa del mondo moderno, L’imam Abdessalam Yassine propone come prima virtù la filiazione spirituale e lo spirito di gruppo, scrive: “la filiazione spirituale in Dio è amore in Dio, fraternità e reciproca empatia, qualità in grado di elevare […] nei gradi dell’amore di Dio e del Suo Messaggero”. La buona compagnia come il più efficace strumento di educazione spirituale e raffinamento del proprio carattere.

La modernità ha inoltre il demerito di aver rifiutato il ricorso alla spiritualità come possibilità di alleviare il dolore che le avversità portano con sé, mettendo il discorso spirituale in secondo piano costringendolo, nel migliore dei casi, alla stretta sfera privata, tagliando definitivamente il cordone ombelicale che lega gli esseri umani all’Altra Vita, con conseguenze a dir poco drammatiche. Come essere spirituali in un mondo materiale? Come affrontare un mondo-prova senza lasciarvi brandelli della propria anima, o peggio la totalità? Come essere sulle orme del Messaggero proteggendo la propria fede in un mondo che ha la ferma intenzione di tagliare con le religioni.

Nel mentre combattiamo assieme la battaglia dell’epidemia in casa nostra, teniamo un occhio rivolto alle vittime di guerra, agli sfollati e ai rifugiati che vengono respinti indietro a colpi d’arma da fuoco. Rivolgiamo un pensiero e una preghiera agli innocenti, a chi è privato delle proprie proprietà e libertà di pensiero e di associazione. Le disgrazie fanno meno male se vengono affrontate con fraternità e in comunità aiutandosi a rialzarsi.

Le riprese che fanno vedere i vicini affacciarsi dai balconi, per sentirsi un pò in compagnia e scacciare la paura con performance di vario genere, mentre solo fino a qualche settimana fa, probabilmente si evitavano l’un l’altro è una delle reazioni più belle e intense che questo momento difficile può offrire. Quando il nemico è comune a tutti, nasce la consapevolezza che i nostri litigi e  le nostre divergenze possono anche passare in secondo piano. E quando le tragedie finiscono, le relazioni rinvigoriscono, l’economia riprende a crescere, le conquiste civili vengono apprezzate nel loro giusto valore e l’altruismo dimostrato in questi giorni difficili lascia molto a sperare. Il sociologo Franco Ferrarotti arrivò a dire che: “quando l’incubo sarà finito nasceranno più figli”, e darà “nuova vitalità, perché sentiremo il bisogno di rispondere alla morte con la vita”, in perfetta sintonia con il messaggio del Corano che annuncia la lieta novella dopo ogni avversità.

Ce la faremo!

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