La morte, richiamo e riconciliazione
di Mohamed Amrani
Quando si ha, a vista d’occhio, la propria morte (tumore sconosciuto, reazione immunitaria violenta, il cuore che si indebolisce…), alcune reazioni si scatenano nel proprio interno.
I noncuranti che sono sempre stati nell’oblio, sembrano rimanere aggrappati al momento presente e al “fatto evidente” che sono ancora in vita. Specialmente in una cultura dominante che non manca di vendere delle diversioni su quello che viene chiamato l’”aldilà”, un termine vago sconcertante e anestetico.
Per coloro che hanno notizia sulla Vita ultima, questa presa di coscienza esegue improvvisamente una sentenza che, fino ad allora, era rimasta sospesa. La prima reazione è di frustrazione, d’irritazione.
In primo luogo, questo non è un comportamento reprensibile. Nell’hadith qodsi Dio informa che Egli “esita” a prendere l’anima del fedele amato, poiché costui detesta la morte e Dio detesta contrariarlo. Ma mi chiedo: “Questo è anche il caso degli eletti di Dio, il cui desiderio ultimo è di andare all’incontro di Dio?”
Ad ogni ricordo profondo della mia morte una profonda tristezza mi invade, una sensazione di impotenza, di dolore, d’insignificanza. Tutte le voglie si gelano, le speranze si dissolvono e le prospettive si svuotano. È questo forse ciò che è irritante per il mio ego che pone le sue illusioni nel mio oblio, è frustrato di constatare per un momento che le sue aspirazioni sono vane, che manca l’essenziale, che persegue il vuoto. Alla domanda: sei pronto a partire, la risposta è no. Ma quando sarai pronto?
“Questo stato di nullità non è ciò che un fedele dovrebbe avere nei confronti di Dio?” mi dico. Ricordare la morte, come raccomanda il nostro amato Profeta, non ha l’obiettivo di ritrovare la propria verità? Valutarsi? Valutare la veridicità delle proprie pretese riguardo a Dio e alla Vita ultima?
Nulla ci permette un tale livello di esame personale e di riaffermazione della propria testimonianza di fede “Non c’è dio all’infuori di Dio”, di umili invocazioni dirette a Dio Onnipotente, Colui che ci giudicherà quel Giorno. “Fatti conoscere da Lui prima di quel giorno” mi dico, poiché felice è colui che Egli riconoscerà. Infelice è colui che Egli dimenticherà.
Avendo visto il beneficio di questi momenti di tristezza salutare mi rendo conto della misericordia che portano. L’irritazione lascia spazio alla riconciliazione. Questi momenti di ricordo della morte sono dei momenti di prossimità a Dio, poiché mi riducono all’impotenza, che è la fonte della ricchezza spirituale e del sostegno divino. Una prossimità a lungo attesa e ricercata. Era proprio lì, scritta sua una collezione di ahadith, oggetto di una raccomandazione profetica ma mancava l’alchimia per trasformarla in esperienza. Mancava lo scatto che ci permette di accorgercene. Riconciliarsi con la morte come ci si riconcilia con il rumore assordante di un risveglio ogni mattina. Sappiamo nonostante tutto che ciò ci farà del bene.
La morte può diventare uno strumento di misura, un criterio di convalida e d’apprezzamento di ciò che siamo e di ciò che facciamo… un discernimento, un punto di riferimento, una bussola. Non sto parlando dei gesti, ma delle intenzioni profonde e delle motivazioni intime che danno valore alle nostre azioni.