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Quarantena, alla ricerca del legame perduto social-distancing Full view

Quarantena, alla ricerca del legame perduto

Di François Clarinval

Gli eventi che stiamo vivendo sono storici. Il fatto che ci troviamo, la maggior parte di noi, confinati, in quarantena, e quindi monopolizzati da preoccupazioni immediate, molto spesso limitati al presente e al perimetro della nostra casa o del nostro appartamento, non dovrebbe, tuttavia, farci perdere di vista l’entità di ciò che si sta producendo davanti ai nostri occhi. È in atto un cambiamento di paradigma? Di cosa sarà fatto il “dopo”? Cosa produrrà questa crisi?

Cosa ci insegna la quarantena?

Tre miliardi di persone sulla terra oggi sono confinate e questa misura di profilassi è destinata, quasi certamente, a durare. Le nostre società moderne, che si credevano al riparo dalla morte, improvvisamente riscoprono che la morte non fa distinzione, che un virus – che è, secondo la definizione più comune: “un agente (…) di natura particellare e di dimensioni comprese tra 0,01 e 0,3 micron”- è in grado di indebolire o addirittura uccidere cittadini giovani e anziani, ricchi e poveri, potenti e semplici cittadini, indipendentemente da etnia, religione o nazionalità, di rivelare i difetti di un intero sistema, sia sul piano economico, morale ed educativo; e, infine, di riportare l’essere umano alla sua piccolezza, alla sua finitudine e alla sua vulnerabilità, anche se, sociologicamente, non siamo uguali di fronte alla malattia – Differenza che, d’altronde, si manifesterà gradualmente e in un modo sempre più drammatico, passate le prime settimane dell’attuale crisi. Ecco quindi l’uomo moderno rinviato a se stesso avendo come unico orizzonte l’incertezza del futuro e come unica bussola le notizie dei telegiornali.

In ogni prova, è importante identificare ciò di cui siamo privati. In questa crisi immensa del COVID-19, la domanda è quindi: di cosa ci priva fondamentalmente la quarantena? Le risposte a questa domanda sono molte. Vorrei concentrarmi, nel contesto di questo articolo, su un aspetto particolare. Un ricercatore dell’Università di Liegi (Belgio) ha pubblicato una riflessione che servirà da introduzione al nostro scopo. Egli si rammaricava, in questa pubblicazione, dell’uso dell’espressione “social distancing” o “distanziamento sociale” preferendo ad esso “distanziamento corporale”. Citiamo: “Sociologicamente, il concetto di “social distancing” è particolarmente inadatto. Per far fronte alla crisi COVID-19, abbiamo bisogno soprattutto di “body distancing” ma più che mai di “social bonding”. In altre parole, molti legami sociali e molta distanza fisica.”[1].

Non vi è dubbio che ciò di cui saremo principalmente privati ​​dalla quarantena è proprio questo legame sociale o, più in generale, le interazioni sociali e interpersonali. Ma questo fatto incontestabile è accompagnato da uno strano paradosso. Con la quarantena, le nostre relazioni sociali – se le guardiamo da un punto di vista fisico – sono state quasi annullate, tuttavia senza scomparire. Esse si sono semplicemente trasferite nel mondo virtuale dei social network e della messaggistica online – almeno per coloro che hanno accesso a Internet o ne hanno una pratica abituale, ciò che non è il caso di molte persone, il loro isolamento quindi è tragico. Il paradosso è che le nostre interazioni sociali, prima della crisi COVID-19 e della conseguente quarantena, si svolgevano già, molto spesso, via Internet. Tutto accade, infatti, come se COVID-19 ci confrontasse con uno degli inconsci del nostro mondo iper-connesso ma incapace di comunicare davvero, e questo già da molti anni. Ed eccoci, per alcuni di noi, a rimpiangere e sperare in un ritorno delle interazioni sociali [2] che, in realtà, erano già state fortemente impoverite dai nostri comportamenti comunicativi, conseguenza di un sistema incurante degli esseri umani e dei loro bisogni fondamentali, anche se, in fondo, COVID-19 realizza la morbosa fantasia del mondo in cui viviamo da decenni. Il nostro mondo è malato del legame; ne abbiamo perso il gusto, gli usi, il significato e l’etica.

Dobbiamo imparare di nuovo ad essere in relazione

Abbiamo bisogno quindi di un modello, sia educativo che politico, che possa aiutarci a riconnetterci con la dimensione relazionale del nostro essere. Ciò che la quarantena può insegnarci, se siamo attenti, è che abbiamo bisogno degli altri; ciò che può ricordarci con forza è che le relazioni umane sono essenziali per il nostro equilibrio psicologico e spirituale; ma queste relazioni devono essere autentiche, profonde e radicate nel tempo. Non possiamo continuare a vivere in un surrogato relazionale, superficiale, futile, interessato, egocentrico, disconnesso dal nostro vicino, dalla sua realtà vivente, carnale, sofferente, ma anche felice e bella. E la reificazione internet delle interazioni relazionali, non ci dobbiamo sbagliare, è soltanto il sintomo di un male più profondo; non è la causa – in quanto abbiamo le modalità di comunicazione che corrispondono a ciò che siamo. Il neuropsichiatra Boris Cyrulnik ha dichiarato in un’intervista alla rivista online “L’Illustré”: “Dopo l’epidemia, ci sarà un’esplosione di relazioni” [3]. Paradossalmente, è difficile dire se gioire per ciò o no. Tenendo conto di quanto detto sopra, sorgono delle domande: quali relazioni? In quali forme e con quali intensità? Tra chi e chi? Quali nuovi legami porteranno alla fine della quarantena? Quali vecchi legami verranno eliminati? Quali nuove esigenze di relazione emergeranno? La risposta a tutte queste domande dipende essenzialmente dalla nostra attuale visione della natura dell’essere umano e dalla nostra percezione, a partire dalla nostra esperienza, di ciò che è un legame interpersonale.

Come ricreare un legame?

Nell’educazione musulmana, trasmessa dal Corano e dagli insegnamenti profetici, il legame si declina in due modi: verticale e orizzontale. In primo luogo il musulmano, nella situazione attuale, è invitato a rafforzare, ravvivare, il legame verticale, il legame con Dio. Questa quarantena può quindi essere vissuta come un ritiro – tutto dipende dall’intenzione. L’esperienza dei ritiri spirituali, senza dubbio, dovrebbe essere, per i credenti che ci sono abituati, estremamente preziosa, così come, per le famiglie, la virtù della pazienza dovrebbe, più che mai, essere ricercata. Ma, come abbiamo detto, il legame verticale non è l’unico, anche se è l’asse, senza il quale nulla è concepibile, ed è la fonte di tutto. L’essere umano è immerso nel mondo, vive nella società, ha a che fare con i suoi simili, interagisce nel quadro di convenzioni, abitudini, regole, prova emozioni durante le sue interazioni, costruisce se stesso grazie ad esse. Nessuno può quindi privarsi del legame orizzontale con i suoi parenti, compagni di studi, concittadini di tutte le fedi. Nel Corano troviamo l’affermazione di questa necessità, nel versetto 13 della sura 49: “O uomini! Vi abbiamo creati da un maschio e da una femmina e abbiamo fatto voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda (…)“. Da questo punto di vista, ciò che questa quarantena rivelerà è, in particolare, il posto che l’altro occupa, davvero, nel nostro cuore, nelle nostre preoccupazioni, nelle nostre aspirazioni.

Una prova ci priva di qualcosa, sempre. In questa situazione di reclusione forzata, chi mi manca? O meglio, chi non rientra nelle mie preoccupazioni? A chi non mi verrebbe mai in mente di telefonare, scrivere, che però faceva parte della mia vita, socialmente? La privazione, di qualunque natura sia, riporta sempre l’essere all’essenziale. Questo è vero per il digiuno, come per il ritiro spirituale, che è la privazione dell’”uscita” – certamente queste pratiche spirituali sono volontarie mentre la quarantena ci è imposta; ma siamo liberi, come abbiamo detto sopra, di appropriarci di questo vincolo. Siamo quindi privati ​​degli altri – a parte la nostra cerchia familiare più vicina, per coloro che vivono in famiglia. Ciò, tuttavia, dovrebbe consentirci di prendere coscienza delle nostre priorità relazionali e di riconsiderare, inoltre, le nostre rappresentazioni dell’altro, come le avevamo costruite prima della quarantena. Individualmente e collettivamente – ad esempio nell’ambito di un progetto associativo – è interessante chiedersi: per quanto riguarda le persone per le quali dicevo di avere molta attenzione, chi mi manca davvero? O, in altre parole, i miei pensieri e le mie preoccupazioni nella situazione attuale – una volta che la mia sicurezza, e quella dei miei cari, sono al sicuro – si rivolgono a loro?

Non possiamo ignorare la seguente domanda nella situazione attuale: come trarremo il massimo vantaggio da queste ore decisive per tutta l’umanità? La credente e il credente devono certamente rispondere presente alla chiamata di Dio riguardo alla preghiera, la lettura del Corano, ecc., Ma devono anche rispondere presente alla chiamata delle loro sorelle e fratelli nell’umanità, riguardo le persone in difficoltà, le famiglie in lutto o in ansia, gli operatori sanitari, e tutti coloro che continuano a lavorare per mantenere il comfort della nostra vita. Certo, i mezzi sono limitati, certamente le condizioni di quarantena limitano le possibilità di azione, ma questo non dovrebbe essere un ostacolo. È estremamente importante non lasciare che la quarantena di profilassi rafforzi ulteriormente la quarantena culturale in cui la comunità musulmana è stata mantenuta prima della crisi COVID-19. Questa crisi deve invitare tutti noi, di ogni estrazione filosofica o religiosa, a lavorare per legare, ricollegare, intrattenere, creare, suscitare, valorizzare, i legami con gli altri. Ci sarà un dopo, ma questo dopo ricorderà soltanto coloro che sono stati presenti agli altri durante questa crisi. Non vi è dubbio che il cambiamento sperato e tanto atteso non avverrà senza un’alleanza duratura e sincera, fondata sull’affermazione della dignità fondamentale di tutti gli esseri e conclusa sulla base degli inalienabili legami di fratellanza universale.

[1] H. BOUSETTA, su Twitter del 16 marzo 2020.

[2] Che dimentichiamo rapidamente che erano, d’altronde, predeterminati dalle differenze sociali e culturali e, quindi, molto meno liberi e fluidi di quanto potremmo pensare oggi, per effetto della nostalgia.

[3] https://www.illustre.ch/magazine/boris-cyrulnik-apres-lepidemie-y-aura-une-explosion-relations

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