Segretario PSM: «le comunità musulmane vanno raccontate nei media per quello che sono: un valore aggiunto»
Si è svolto ieri sera, giovedì 29 giugno 2017, alla Moschea Taiba di Torino un dibattito sul tema del contrasto e della prevenzione dall’estremismo e dalla radicalizzazione, promosso dalle comunità religiose di Torino e dall’Anpi, all’incontro è intervenuto il segretario nazionale di PSM, Abdellah Labdidi, insieme al direttore de La Stampa, Maurizio Molinari; all’on. Andrea Giorgis; Brahim Baya, portavoce dell’AIA; Paolo Ribet, pastore della chiesa valdese; Anna Segre, Comunità Ebraica, Direttrice “Ha Keillah”; Don Fredo Olivero, della pastorale migranti; Izzeddin Elzir, Presidente UCOII; Lorenzo Gianotti, Anpi Provinciale.
Vi proponiamo di seguito il testo integrale dell’intervento del segretario Labdidi:
Ringrazio per l’invito e mi congratulo con i promotori di questo percorso di dialogo e di confronto su un soggetto così attuale che interroga le nostre coscienze di essere umani e di religiosi. Un fenomeno, quello dell’estremismo, che come si evince dai vostri precedenti appuntamenti, non può essere legato ad un’unica tradizione religiosa, ma è un minaccia insito in ogni pensiero religioso e umanistico che sia.
Partecipazione e Spiritualità Musulmana, PSM, che ho l’onore di rappresentare, è una realtà nazionale che opera alla valorizzazione della presenza e della partecipazione musulmana nel nostro paese, creando spazi di incontro, di dialogo, d’impegno congiunto in nome dei valori comuni. Per noi in PSM il lavoro va condotto principalmente sulla persona umana, attraverso una profonda educazione spirituale e la promozione di un impegno civico positivo nella società.
Come PSM siamo impegnati, insieme ad altri, nella promozione di un islam italiano, un islam che rispetta il credo, le pratiche musulmane, facendo propri i principi fondamentali della costituzione repubblicana. Lo scorso marzo, per esempio, abbiamo promosso un grande convegno nazionale al Centro congressi Lingotto di Torino in cui si sono incontrati circa due mila partecipanti da tutta Italia, per riflettere insieme ad illustri relatori musulmani e non musulmani sul tema del rinnovamento, dell’etica e della spiritualità. Questa riflessione è per noi un passaggio obbligato per superare la pigrizia e le rigidità mentali che sembrano contraddistinguere un certo pensiero musulmano contemporaneo. Soltanto riscoprendo la dimensione del rinnovamento (Tajdid) si porranno in dialogo le fonti dell’islam con il contesto contingente in cui si trova a vivere il fedele musulmano. Il rinnovamento a cui siamo chiamati come musulmani si fonda su un’autentica e profonda riconciliazione con la dimensione spirituale fondamentale nell’Islam, chiamata la ricerca dell-ihsān, e su un rinnovato e creativo impegno nell’Ijtihad, la rilettura delle fonti scritturali della tradizione musulmana, alla luce di un contesto e di un’epoca nuovi.
Ciò dovrebbe portarci come musulmani a sviluppare un approccio positivo alla società, un senso di appartenenza intimo e consapevole e una cittadinanza responsabile e aperta; ad essere dei cittadini che partecipano alla vita sociale, politica e culturale del loro paese.
Detto ciò permettetemi ora di svolgere qualche riflessione sul tema specifico attorno a cui siamo chiamati a confrontarci: Da diversi decenni a detta di molti viviamo in un nuovo mondo, un nostro mondo è globalizzato e assomiglia più ad un piccolo villaggio interconnesso e interdipendente, qualsiasi piccolo cambiamento in un suo angolo produce ripercussioni sul resto, come si usa dire “se una farfalla batte le ali a Pechino rischia di scatenare una tempesta a New York”. Vorrei dire con questo che ciò che avviene oggi nel mondo musulmano, e in quello arabo in particolare, ha sicuramente delle influenze dirette e importanti sulle nostre vite come europei, non possiamo tenerci al riparo dalle schegge dell’incendio che vive oggi una buona parte di quel mondo. Un incendio fatto di caos e violenza, frutto di diversi fattori, tra cui l’eredità coloniale, l’assenza di libertà e di giustizia sociale, gli altissimi tassi di analfabetismo e povertà. L’insieme di questi fattori ha prodotto il terreno, l’humus adatto alla diffusione dell’estremismo e della violenza. Soltanto affrontando alla radice queste cause si potrà dare pace e stabilità a quella regione martoriata del nostro mondo e di conseguenza garantire anche a noi una migliore stabilità e tutela dei nostri reali interessi.
Arrivando al ruolo dei mezzi d’informazione, è impossibile non riconoscere che essi siano una enorme risorsa di cui dispone l’uomo oggi per conoscere in tempo reale ciò che lo circonda, i mass media hanno ridotto in maniera eccezionale le distanze fra gli esseri umani. Esse tuttavia corrono il rischio di trasformarsi, nelle mani sbagliate, in un pericolo per la convivenza nel mondo, poiché sono in grado di plasmare a piacimento la nostra conoscenza e le nostre opinioni su ciò che succede nel mondo, diceva Malcolm X, l’attivista afroamericano dei diritti civili, “Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono.” Senza tuttavia generalizzare a tutti i media. Per evitare questa deriva i mass media sono chiamati, nel pieno esercizio della loro libertà di informazione, di attenersi ad un codice deontologico rigoroso, lontano dal sensazionalismo e dagli interessi di parte, che rischiano di mettere a repentaglio l’obiettività dell’informazione trasmessa.
I media hanno una capacità potenziale importante di contribuire alla convivenza e alla coesione all’interno della società, se danno spazio a ciò che fa conoscere le comunità le une con le altre, questo è il caso molti media locali. Tuttavia esse possono anche produrre nell’opinione pubblica una percezione distorta della realtà dei fenomeni, questo lo vediamo oggi per quanto riguarda la presenza musulmana in Italia, dove per via della copertura mediatica eccessiva e non sempre obiettiva, si è alimentato una percezione negativa e sovradimensionata di questa presenza, secondo una sondaggio recente di Ipsos la media della popolazione italiana pensa che i musulmani in Italia rappresentino il 20% del totale dei residenti, mentre in realtà non arriviamo neanche al 3%. I media nazionali in particolare tendono a concedere molto meno spazio, per non dire nessuno, alle tante iniziative positive promosse dalle comunità musulmane, mentre una marginale notizia di cronaca che coinvolge un singolo musulmano diventa un caso nazionale a cui vengono dedicati i titoli principali dei tg nazionali e lunghe ore nei talk show di prima serata.
Concludo dicendo che una maniera efficace per contrastare l’estremismo e la radicalizzazione all’interno della nostra società potrebbe essere quella di dare voce e spazio a coloro che si impegnano per una religiosità dialogante, per un convivenza proficua, queste sono la maggioranza molte volte inascoltata della comunità musulmana. È necessario mettere in condizione la comunità musulmana di svolgere il suo lavoro di informazione riguardo all’autentico islam e di impegno in favore di un Islam italiano. È necessario infine riconoscere e trattare le comunità musulmane d’Italia per quello che sono: dei credenti, dei cittadini con diritti e doveri. I musulmani d’Italia, con tutti i problemi che hanno come d’altronde qualsiasi altra comunità, non sono una minaccia all’identità italiana o alla democrazia bensì possono rappresentare un valore aggiunto, una ricchezza culturale e una risorsa etica per il nostro paese.